In risposta all’Angelo Mai Altrove Occupato

Caro Angelo Mai (non il cardinale, ma l’anonimo estensore dell’articolo),
Ho letto con interesse la tua nota e, avendo seguito gli sviluppi della situazione, sento la necessità di far sentire un’altra voce. Dal momento che di sicuro sei un artista, sono certo che non ti spiacerà anche se si tratta di una nota dissonante.
Premetto che non ho votato e non sostengo in alcun modo questa Amministrazione, non provo alcun piacere all’idea degli sgomberi coatti e ritengo che sarebbe bello e sensato se la politica riconvertisse ad uso abitativo parte degli edifici comunali in abbandono per alleviare le pene di tante famiglie in difficoltà.Ciò detto, ritengo che il recente sgombero sia cosa giusta, per varie motivazioni.

Siamo tutti ben consci degli attuali problemi di occupazione e di costante aumento dei costi della vita e dell’onere tributario che uno stato rapace impone alla cittadinanza. Di fronte a questo, le persone comuni e oneste cercano di arrangiarsi risparmiando. Sono peraltro consapevoli del fatto che le proprie tasse sono ciò con cui vengono garantiti i servizi (scuole, trasporti, sicurezza, sanità, etc.) di cui tutta la cittadinanza beneficia. Per questo, quando riescono con infinite difficoltà ad accedere (in affitto o in proprietà) ad una abitazione sanno che ciò comporterà un onere fiscale non indifferente: IMU, TASI, addizionali irpef, TARI, oneri vari spalmati sulle utenze, IVA sui servizi condominiali, etc.

Ora, caro Angelo Mai, sai bene che gli stati democratici si reggono grazie ad un principio di solidarietà in cui lo Stato ripartisce il carico fiscale in maniera proporzionale alla capacità contributiva dei cittadini. In questo modo tutti possono beneficiare allo stesso modo degli stessi servizi talché chi paga 100 e chi paga 1 avrà il medesimo trattamento in termini di qualità del servizio (ad es. l’attesa per una TAC, i tempi di un processo civile, etc.). Questi denari che lo stato pretende dai cittadini, d’altro canto, non diventano solo servizi ma anche beni (mobili e immobili). Il proprietario di questi beni, in ultima istanza, è sempre la cittadinanza, che ne dispone secondo le modalità stabilite dalle amministrazioni che democraticamente elegge.

Fine della lezione teorica. Gli immobili al centro della vicenda narrata nella tua nota sono proprietà dei cittadini di Roma, cioè in egual misura tuoi, miei, e degli altri quattro milioni di concittadini. Se poi parte di questi non fossero proprietà di Roma Capitale ma dello Stato italiano, allora apparterrebbero ai circa 60 milioni di cittadini italiani. Il costo per la loro edificazione, allaccio, manutenzione, è stato pagato imponendo sacrifici (tasse) alla cittadinanza, persone reali che per rispettare questo patto d’onore e solidarietà tra stato e cittadini hanno spesso dovuto fare delle rinunce, anche pesanti e modificare il loro stile di vita.
Ora, nessuno mette in discussione l’oggettva necessità di un tetto sulla testa, né le gravi difficoltà economiche in cui ci si può trovare. Questo, tuttavia, non giustifica ciò che sotto ogni profilo si configura come una violenza ai danni della cittadinanza. Chi “occupa” un immobile di proprietà del Comune, infatti, si sta appropriando del denaro che il comune ha preteso dai cittadini onesti e che con fatica pagano le tasse. Non solo: sta sottraendo una risorsa ad altri cittadini (tutti i cittadini sono uguali, ma forse gli altri sono “meno uguali” di loro?) e spesso sta costituendo un pericolo per sé e per gli altri, visto che questi edifici spesso fatiscenti non rispettano le più elementari norme di sicurezza e di igiene per l’abitabilità.
Ma c’è qualcosa che rende questa occupazione ben più odiosa: il tacito disprezzo per chi conduce una vita di sacrifici, persone che non credono affatto che il lavoro e la casa siano un diritto, ma una conquista che si ottiene sulla base del proprio impegno attivo nella società, con gli onori e gli oneri che ne derivano. Teorizzare che qualcuno possa sottrarsi a tali oneri per farne ricadere il costo sui cittadini “meno uguali” costituisce una forma di violenza e inciviltà completamente inaccettabile e ben più grave dell’occupazione in sé: è la condanna delle democrazia.

Per concludere, caro Angelo Mai, spero che vorrai considerare anche le mie parole in difesa di quelle persone che con la propria quotidiana fatica cercano di svolgere un ruolo fattivo nella società, contribuendo ai bisogni di tutti e aborrendo ogni forma di prevaricazione e appropriazione violenta.

Tuo,

Valerio Polidori

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