Riformisti cercasi (PD e PDL: assenti!)

È solo da qualche settimana che tutti gli attori delle prossime elezioni politiche hanno reso disponibili i loro programmi, perlopiù in forma sintetica. In questo documento propongo una breve analisi comparativa di alcuni degli aspetti programmatici dei due principali schieramenti, alla ricerca di elementi di autentico spirito riformista e della necessaria coerenza interna per poterli tradurre in azione pratica.

Partito Democratico

Il programma vero e proprio del PD  è piuttosto sintetico. Parallelamente ad esso è presentato a un elenco di documenti  dalla vocazione più analitica, sebbene non è chiaro in quale misura il contenuto di tali documenti sia assunto dal programma. La sensazione, in realtà, è che i documenti siano piuttosto espressione di un lavoro svolto dalla base ma che non è pienamente recepito né integrato nel programma.
Sono infatti molti i problemi concettuali, dei quali selezioniamo solo alcuni tra i più rilevanti:

Innanzitutto, secondo il PD l’Italia è afflitta da “un deficit di democrazia” che è necessario combattere attraverso

«l’applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo»

e tuttavia:

«Sulla riforma dell’assetto istituzionale, siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e rafforzato, con un ruolo incisivo del governo e la tutela della funzione di equilibrio assegnata al Presidente della Repubblica. Riformuleremo un federalismo responsabile e bene ordinato che faccia delle autonomie un punto di forza dell’assetto democratico e unitario del Paese»

Ma si parla anche di generica “semplificazione e alleggerimento del sistema istituzionale e amministrativo”, senza tuttavia fornire altri dettagli.

Ora, ammesso anche che la Costituzione italiana sia una delle più avanzate al mondo (sic!) è difficile tenere insieme concetti come “applicazione integrale” e “riforma e alleggerimento dell’assetto istituzionale”, e parimenti arduo far andare insieme un “sistema parlamentare rafforzato” e “un ruolo incisivo del governo”. Sembra, insomma, che il programma del PD in tema di riforme costituzionali soffra di una certa schizofrenia, affermando prima una cosa e poi, subito dopo, il suo contrario.

Del resto, se il PD fosse animato da tutto questo spirito riformatore o se fosse così votato alla volontà di tagliare la spesa pubblica e i costi della politica potrebbe anche illustrare perché mai avrebbe bocciato sia il disegno di legge per l’abolizione che quello emendato dell’accorpamento delle province proposto dal governo Monti. O ancora, se così certi di una carenza di democrazia, perché si sarebbe fieramente opposto alla riforma della legge elettorale e alla reintroduzione delle preferenze. Last, but not least, chi a ogni pié sospinto parla di responsabilità, legalità e trasparenza, dovrebbe forse spiegare perché, pur avendone avuto l’opportunità negli anni 1996-2001 e 2006-2008, non abbia prodotto leggi contro il conflitto di interessi o il reinserimento del reato di falso in bilancio, magari anche in relazione al fatto che  il PD ha espresso 13 dei 16 membri della attuale Fondazione Monte dei Paschi di Siena.

Del resto la schizofrenia non si limita al programma ma anche alle alleanze: come si fa a pensare di essere autentici riformatori nelle politiche produttive e nella riduzione di spesa e ad allearsi con una formazione (SEL) che come punto forte del suo programma propone un reddito minimo garantito di 600 euro al mese per chi non lavora?

O ancora, come si fa a tenere insieme sui temi etici la linea di Rosy Bindi (per inciso presiedente del comitato che ha varato le linee-guida del PD sui temi eticamente sensibili) e SEL, che su matrimoni gay (non parliamo proprio delle adozioni), modifiche alla legge 40 sulla fecondazione assistita ed eutanasia sono su posizioni completamente eteroclite?

In generale, il programma del PD dà l’impressione di diluire queste pesanti antinomie e auto-contraddizioni in un profluvio retorico:

«dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia… »

«la responsabilità e la libertà femminile sono una leva per la crescita e una risposta alla crisi democratica … »

«liberare le energie della creatività e del merito individuale contro le chiusure corporative e familistiche della società italiana… parlare di uguaglianza significa guardare la società con gli occhi degli “ultimi” …»

e l’elenco potrebbe continuare a lungo (ma basta, grazie).

L’impressione complessiva è quella di un tentativo – a tratti maldestro –  di tenere insieme le molteplici anime della sinistra italiana senza scontentare nessuno, con il risultato più che scontato di bloccare sul nascere ogni serio anelito riformatore, donde non stupisce affatto il tono della trattazione estremamente generico.

Sul Corriere di oggi, infine, un’altra conferma: «il PD non ha intenzione di stravolgere la struttura della spesa pubblica» ma, piuttosto, di agire sul PIL (pag.6). Tradotto: il PD non è disposto a tagliare né le proprie poltrone né le posizioni di privilegio improduttive date ai suoi protetti negli ultimi decenni.

Un film già visto.

Popolo della Libertà

Se quello del PD ammanta di serietà le sue molte contraddizioni, il programma del PDL non fa neanche il pio tentativo. Già a una prima lettura chi non è completamente sprovveduto si rende conto di essere innanzi ad una barzelletta:

Si comincia al Punto 1 con una serie di propositi più che condivisibili, tra cui :

Dimezzamento degli emolumenti dei parlamentari

Abolizione delle Province tramite modifica costituzionale

Piena entrata in vigore della riforma costituzionale sul pareggio di bilancio

Il PDL, evidentemente, è certo dello stato di amnesia degli italiani i quali forse non ricordano come solo una manciata di mesi fa il PDL fece blocco compatto di opposizione sia al primo punto (durante l’azione del governo Monti, il parlamento avrebbe dovuto occuparsi di ridurre i propri costi e di riformare la legge elettorale, ma nessuno dei due obiettivi fu ottenuto) che al secondo (bocciato con unanime e del tutto trasversale consenso anche del PD). Quanto al terzo (che peraltro maschera il tentativo di eludere il Patto di Stabilità per gli enti locali), viene spontaneo chiedersi quale possa essere la credibilità di una affermazione di questo genere fatta dallo schieramento che negli ultimi 18 anni (di cui 11 di governo) più di tutti si è prodotto nella più disinvolta deficit-spending (si veda questa tabella).

Fin qui poco male, si dirà: magari hanno cambiato idea. E così al punto 3 leggiamo un altro obiettivo in sostanza condivisibile (si parla di Europa) :

Accelerazione delle quattro unioni: politica, economica, bancaria, fiscale

La domanda tuttavia è: come si fa a tenere insieme una vocazione pienamente europeista come quella condensata in questa espressione e i principi del principale alleato, la Lega Nord, che non concepisce una Europa di stati ma di “euroregioni” (di qui l’AS n. 768 “Indizione di referendum per l’approvazione della ratifica del Trattato di Lisbona”)  e che sulla moneta unica scrive nella sua carta d’intenti:

L’Euro, la moneta unica che dal 2002 regola la vita dei cittadini europei, è sostanzialmente un freddo progetto monetario e finanziario distante dall’economia reale.

La Lega Nord sostiene che un referendum consultivo sul mantenimento della moneta unica (sistema monetario integrato) sia la strada più corretta per rendere più democratica la costruzione dell’integrazione comunitaria

Ma il momento esilarante inizia dal punto 4. Qui, poiché la Lega vuole il federalismo e un Nord protagonista ma l’altro alleato Grande Sud vuole unità nazionale e un Sud protagonista,  il PDL per non scontentare nessuno, ha pensato bene di titolare il punto 4:

Per un’Italia federale e unita: Nord, Centro e Sud protagonisti

Qui onestamente è difficile capirci qualcosa: si va dal 75% delle imposte che rimangono sul territorio (molti più denari alla Lombardia e al Veneto, ad esempio) al “Rilancio del piano nazionale per il Sud” (pag.11). Come queste cose possano stare sotto lo stesso cappello è un mistero che travalica la mia comprensione.

E non è finita. Al punto 6 c’è un vero tripudio. Si propone, tra l’altro:

Eliminazione dell’IMU sulla prima casa (e restituzione di quella del 2012, che  nel programma non c’è)

No alla patrimoniale e No all’aumento Iva

Tendenziale azzeramento (in 5 anni) dell’Irap, a partire dal lavoro, con priorità alle piccole imprese e agli artigiani

Diminuzione della pressione fiscale di 1 punto all’anno (5 punti in 5 anni)

Detassazione degli utili reinvestiti in azienda

Revisione e riduzione dei poteri di Equitalia

Compensazione tra crediti verso la PA e debiti fiscali, per le famiglie e per le imprese

A occhio qui siamo davanti a promesse che allo stato costerebbero almeno 100 mld l’anno (solo l’ultima voce pesa 80-100 mld in 5 anni) ma da nessuna parte si dice la copertura di queste operazioni, dal momento che l’unica voce del programma che parla di riduzioni di spesa afferma genericamente (punto 23) :

Intervento di forte riduzione della spesa pubblica, per un risparmio di almeno 16 miliardi all’anno

Anche qui come non è dato saperlo. Il punto 22, che sostiene di poter ricavare 400 mld da dismissioni e dall’ormai leggendario accordo con la Svizzera non solo pecca di enorme ottimismo, ma sarebbe destinato alla riduzione del debito per una quota comunque ampiamente insufficiente a coprire la differenza di costi operativi in termini di riduzione di interessi. I conti non tornano, e non tornano in maniera catastrofica.

Ciliegina sulla torta: dopo aver promesso meno tasse per un importo fuori da ogni ragionevolezza, i punti 13-21 propongono più spesa e investimenti praticamente in ogni settore: scuola, welfare, ricerca, sport, spettacolo, sicurezza… senza curarsi minimamente di illustrare come si intendono reperire le risorse necessarie. Qualche citazione basterà per esemplificarne il  tono favolistico:

Libero accesso alle reti

Diffondere capillarmente la banda larga e larghissima

Realizzare alloggi di edilizia convenzionata, popolare, libera, in affitto agevolato attraverso incentivi fiscali, premi volumetrici, semplificazione delle procedure per il recupero di aree già edificate o dismesse

Agevolazioni fiscali per investimenti di privati nella costruzione di impianti sportivi di riconosciuto interesse generale

Potenziamento delle forze dell’ordine, assicurando il massimo sostegno sia economico che logistico e attuando la specificità per gli operatori della sicurezza

Questo il fanta-programma del PDL. A ciò si può, e forse si deve, aggiungere ciò che il programma non dice, ad esempio:

  1. il PDL è contrario alla Tobin Tax, per evidente compiacenza ai gruppi di potere che vivono di transazioni finanziarie. Eppure con un programma dai conti completamente sballati una tassa veramente giusta avrebbe potuto trovar posto.
  2. il PDL ha riempito le sue liste di personaggi noti per la loro fedeltà al leader e non per la loro competenza. Ne abbiamo già parlato in questo articolo dove abbiamo anche accennato alla presenza di altri “impresentabili”
  3. Condono tombale e amnistia sono stati entrambi lanciati dal Presidente Berlusconi dopo la redazione del programma ed entrambi, prevedibilmente sono estremamente indigesti alla Lega. Che il primo sia indigesto anche alla legalità, poi, è un altro fatto.

 Conclusioni

Ciò che emerge dall’analisi di cui questo pezzo costituisce un estratto sintetico, è che nessuno dei due principali schieramenti può considerarsi riformista. Il PD non lo è in maniera costitutiva, e se non altro ha la coerenza di dirlo in maniera relativamente chiara. Il PDL, che riformista lo sarebbe (sulla carta), perde di qualsiasi credibilità se si entra nel dettaglio (numerico) delle singole voci, mentre è del tutto evidente il suo costante anelito a favorire gruppi di interesse ben precisi (v. ultimo paragrafo).

Sembra dunque che siamo di fronte all’ennesima occasione mancata. Difficilmente, infatti, i gruppi autenticamente riformisti come Scelta Civica o Fare per Fermare il Declino avranno una riuscita in termini elettorali. L’unica speranza, a questo punto, è che dalle urne non esca alcun vincitore e che si torni a votare tra qualche mese con una nuova legge elettorale.

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