Boldrin, Giannino: il botto è vicino.

A poche ore dall’apertura dei congressi che sanciranno la rinascita o l’oblio di FARE per Fermare il Declino, va in scena anche l’ultimo atto di uno strano dramma dai tratti shakespeariani. Sotto l’apparenza di un aspro confronto di idee, appare manifesto anche ai meno avveduti che l’unica chiave ermeneutica  sia rappresentata realisticamente dalla conquista della leadership di un piccolo partito che trabocca di idee e di persone interessanti ma che, da troppo tempo acefalo, rischia di cadere nel baratro della non-esistenza.

Come nello stadio di Costantinopoli alla vigilia della celebre Rivolta di Nika, si affrontano due partigianerie: non più gli azzurri e i verdi, ma i “boldriniani” e i “gianniniani“. I primi accusano i secondi di volere un partito elitario, votato nella sostanza a rifondare il PRI o il PLI, di auto-condannarsi alle alleanze per poter incidere sulla vita politica, di essere orientati a modelli di democrazia rappresentativa del XX secolo, di non essere inclusivi. I secondi accusano i primi di voler massificare il partito, di far evaporare le competenze nei processi della “democrazia liquida”, di avere un atteggiamento poco o per nulla coesivo e, anzi, di alimentare i conflitti. I bene informati, infine, sono convinti che in caso di vittoria dell’uno (indipendentemente da chi sia), esistano buone possibilità che l’altro esca di scena definitivamente, magari portandosi il suo seguito e realizzando così quella scissione dell’atomo che raramente ha giovato alla storia, e tantomeno a quella politica.

Indipendentemente da come si sia potuti giungere a questo psicodramma e dal suo esito fatale, non posso sottrarmi a qualche valutazione di merito, di carattere completamente bipartisan.

Innanzitutto, è impossibile non notare che, anche in partiti con un minore anelito alla rissa, difficilmente tra le correnti c’è una convergenza tanto netta come quella che esiste in FiD sui 10 punti del programma, proposte abbastanza dettagliate da cui scaturisce necessariamente una certa visione del mondo fatta di un rapporto in cui l’asse cittadino-stato si sposta significativamente verso il cittadino. Se ciò non bastasse, a pochi osservatori sfuggirà che le reciproche accuse sono del tutto strumentali: entrambe le fazioni sono perfettamente consapevoli della necessità che FiD si apra al mondo e riesca a parlare a un numero più vasto di elettori. Gli stessi – per inciso – che non hanno idea di dove sia Chicago e che mostrano un afflato sincero a votare chi gli promette di togliere l’IMU. Non basta: a più riprese sia il prof. De Nicola (il principale teorico dell’area gianniniana) sia lo stesso Boldrin si sono detti totalmente contrari alla democrazia diretta, così come entrambi hanno sostenuto che il liquid feedback sia uno strumento e non un fine, e come tale esso vada inteso.  Paradossalmente i due sono d’accordo anche su Oscar Giannino, quando affermano che sarebbe del tutto inopportuno candidarlo ad alcuna carica pubblica, almeno in questo momento. Quanto alla inclusività, lessema tra i più abusati a memoria d’uomo, da una parte e dall’altra si contrappongono per gli incarichi interni del partito liste bloccate e impermeabili, la cui principale attività consiste nello stabilire cordate di fedelissimi e avere i numeri per abbattere il nemico. E così da un lato alcuni capi-cordata (come il boldriniano prof.Bussoletti) non sentono neppure la necessità di inserire un programma per corroborare la propria candidatura alla Direzione Nazionale, dall’altra Giannino – in piena amnesia rispetto ai suoi temi consueti – sponsorizza un candidato presidente in evidente conflitto di interessi.

Sic stantibus rebus non è difficile accorgersi che questa rissa non giova né alle parti in causa né al complesso di simpatizzanti, aderenti e militanti che spesso assistono attoniti a questa lotta surreale su divergenze perlopiù inesistenti.  E poi, parliamoci chiaro: Roberto Italia sarà anche un bravissimo manager, ma chi-lo-conosce. In un momento in cui la memoria degli elettori si conta non più in anni ma in giorni, o al massimo mesi, se non si vuole ripartire da zero le uniche facce spendibili sono Giannino, Boldrin e Zingales. Tolto l’ultimo, che non ha alcuna intenzione di stare nella mischia, restano Oscar e il professore. Il primo, simpatico, telegenico, trascinatore, ma ritenuto inadatto sia come ideologo che come candidato. Il secondo piuttosto antipatico, difficilmente in grado di sostenere un dibattito televisivo dai toni muscolari come quelli cui siamo abituati, e tuttavia un fine economista e, perché no, un possibile autorevole presidente e/o candidato di punta.

Questa complementarietà di ruoli tra il sig. Giannino e il prof. Boldrin sembra manifesta a tutti fuorché a loro, evidentemente. Perché mai non si decidono, in autentico spirito di servizio, a deporre armi e rancori e a mettere a disposizione i loro rispettivi talenti alla causa di Fermare il Declino? Eppure non è difficile immaginare i vantaggi di avere un Giannino divulgatore e un Boldrin Presidente, non solo ai fini della coesione interna.

Conscio del rischio di essere “voce di uno che grida nel deserto”, lancio questo appello alla pacificazione e al buon senso.

 

Valerio Polidori
Candidato alla Direzione Nazionale di FARE per Fermare il Declino
 

7 commenti su “Boldrin, Giannino: il botto è vicino.

  1. I miei più sinceri, sentiti ed intensi complimenti per questa incommensurabile sintesi sullo status quo: ho letto raramente – e ne leggo molto, come accade a chi fa parte di FARE – tanta lucidità di analisi. Premetto che le mie posizioni sono principalmente “boldriniane”, per usare il tuo termine, e che quindi, quale essere umano, forse non sono del tutto imparziale nel giudizio. Credo tuttavia che le divergenze siano un po’ più articolate di quelle descritte, così come al contrario sono palesi i non pochi punti d’incontro.
    Ciò premesso dissento sull’assioma Giannino-divulgatore; avere Oscar tra gli autori ed i principali artefici di un programma, manifesto, idea o teoria, è una risorsa incommensurabile. Averlo come “megafono” è stato tanto efficace fino allo scorso febbraio tanto quanto dubito del fatto che possa essere la miglior carta comunicativa che possiamo giocarci; chi non è “dentro” a Fare, lo nota e me lo fa presente ad ogni piè sospinto, con le seguenti, condivisibili affermazioni:
    – è riapparso dalle nebbie di due mesi di oblio alla tv: ha lasciato sedimentare il polverone ed ora si ricicla?
    – oltre ad essere riapparso, parla principalmente di politica e l’economia è un argomento sempre più relegato: sta massificando la sua immagine (per riciclarsi)?
    – ha cambiato abbigliamento, ora si veste da Marchionne: cerca credibilità?

    e via di questo passo. Ho volutamente omesso dalla lista osservazioni ancor più facete, polemiche e meschine su lauree, zecchini d’oro et similia.

    La questione non è la gravità delle menzogne riversate sul ben più lordo campo della politica. La questione è che l’elettorato di riferimento, quello italiano, non ha la maturità, la cultura, la volontà e l’intelligenza di fare i dovuti distinguo tra le fesserie (ancorchè gravi e divulgate forse a livello patologico) di Oscar, da un Presidente del Consiglio che ospita mafiosi in casa e baldracche in camera, o da un altro che fa fare consulenze milionarie alla propria società con i soldi dell’IRI, da cui poi partono dismissioni per miliardi di euro a prezzi di liquidazione.
    Non cambieremo la testa agli italiani entro le prossime elezioni, non li faremo diventare più obiettivi in meno di un ventennio – sempre che si rivoluzioni subito la Pubblica Istruzione – e loro, Oscar, l’hanno già relegato al ruolo, che pur non merita, di barzelletta del villaggio. Strategicamente, ripeto, mi sembra un suicidio mediatico per Fare.

    In Boldrin, vedo parecchi contenuti, un discreto istrionismo e – ahinoi – qualche pecca comunicativa. Niente che, col consenso dell’interessato, non possa essere risolto da un buon team di marketing e comunicazione. Se da un lato, nell’arena degli ultimi talk show, può essere apparso relativamente arrogante, dall’altro gli va riconosciuta una capacità di spiegare fenomeni anche complessi con una semplicità ammirevole; se da una parte pare attestante e controcorrente, dall’altra è sempre coerente – e quindi inattaccabile – con sè stesso e le idee che espone.
    Dal mio punto di vista, Boldrin rimane quindi, col dovuto “make-up” tecnico, la miglior carta da giocare anche come comunicatore in questo momento.

    Non vedo quindi la compatibilità tecnica e strategica tra i due, ma piuttosto una sostanziale sovrapposizione di due figure, per la parte di una delle quali pesa l’onere di qualche necessario “lavoretto di finitura”, mentre dall’altra grava una sostanziale perdita di credibilità sul target-elettorato.

  2. G.le Polidori, la sua analisi mi sembra chiara. Non ho detto condivisibile, ma chiara. Salvo un punto: mi spiga l'”evidente conflitto di interessi” di R.Italia, per favore?
    Saluti

    • Certamente. Molto probabilmente ricorderà che Oscar Giannino nelle prime due settimane di febbraio criticò aspramente Scelta Civica per aver candidati in conflitto di interessi. Si trattava perlopiù di industriali (Bombassei, Vitelli, Cimmino, etc.) e persone legate al mondo dell’alta finanza (Gitti). Se tale conflitto appare evidente per chi è chiamato al ruolo di legislatore, ancor più dovrebbe esserlo per chi dovrebbe indirizzare la linea politica di un intero partito, dunque di molti potenziali legislatori. Sicché, volendo accettare i criteri alla base del giudizio di Giannino in relazione al conflitto d’interessi, non si può negare che anche R.Italia, per la posizione che attualmente ricopre nel mondo della finanza, è nella medesima situazione degli illustri colleghi di cui sopra. Alternativamente, si dovrà ammettere che le accuse lanciate da Oscar Giannino agli indirizzi dei candidati di Scelta Civica fossero totalmente infondate (io non lo credo). Delle due l’una.

  3. Rispondo a EMILIANO: prova tu ad imporre e/o a consigliare a Boldrin col consenso dell’interessato, non possa essere risolto da un buon team di marketing e comunicazione. Io so già come ti risponderebbe! FARE ha solo una possibiltà di riemergere dopo il modesto successo elettorale, avere un trascinatore-comunicatore, conosciuto dalla gente e che sappia trascinare. Senza, c’è poco da sperare.

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