Il pasticcio dei generi

L’ultima trovata linguistica dei cultori del politicamente corretto è davvero grottesca: dopo averci deliziato con il  “personale non docente” (bidello), il “paramedico” (infermiere) e il “sordo preverbale” (sordomuto) hanno pensato che fosse finalmente giunto il momento di indicare “genitore 1” e “genitore 2” al posto di “madre” e “padre” sulla modulistica scolastica per adeguare il vocabolario alle (eventuali) prossime norme sulle adozioni gay.

Non poteva che essere a favore il ministro (ministra?) Kyenge, con chiare idee sulle pari opportunità ma meno sulla lingua italiana: infatti “genitore” deriva dal latino genĭtor, a sua volta derivato dal verbo gignĕre che vuol dire “generare”, sicché il “genitore” è etimologicamente colui che ha generato, cioè essenzialmente il padre (così nell’uso letterario) e poi, per estensione, la madre. Da queste premesse risulta del tutto evidente che nel provvedimento in esame l’unica cosa “generata” sia la confusione, visto che almeno uno dei due eventuali “genitori” gay non avrebbe generato un bel nulla, o comunque non l’infante in questione.

Ma l’Italia degli ultimi mesi non è affatto nuova a esperimenti di semantica fantasy e, anzi, sembra piuttosto proclive a fenomeni di schizofrenia linguistica. Uno dei più noti riguarda il cd. “matrimonio gay”. In questo caso, anche non avendo nulla in contrario a un patto che regoli sul piano giuridico la convivenza tra persone dello stesso sesso (fossero anche una vecchia zia e la nipote) a tutela di entrambe, sfugge il motivo per cui per descriverlo bisognerebbe ricorrere alla parola “matrimonio” che alla sua radice (mater-) implica l’idea – anche virtuale, ma necessariamente possibile –  di maternità, condizione che difficilmente si attaglia all’idea di coppia omosessuale.

Per restare in tema di disastri sul piano della coerenza verbale, si potrebbe infine ricordare che solo poche settimane fa è stato approvato un DL sul cosiddetto “femminicidio”, lessema che grazie a Dio il mio editor di testo continua a sottolineare in rosso. In questo caso, dato l’obiettivo di fondo (previsto anche dalla Costituzione agli artt. 3 e 37) di eliminare ogni forma di discriminazione, francamente non si capisce perché mai un’uccisione di un soggetto femmina dovrebbe essere giuridicamente (o peggio ancora, eticamente) diversa dall’uccisione di un soggetto maschio. Inoltre (secondo problema) per rendere il dizionario del femminicidio coerente con il provvedimento sul vocabolario della modulistica scolastica, si sarebbe dovuto parlare di “omicidio 1” e “omicidio 2”, ma con una significativa opzione (già in esame in Germania) per l’ “omicidio 3” nel caso di transessuali, eunuchi o confusi di sorta.

Anche in questo caso la Germania, che oltre alle declinazioni conserva anche il genere neutro, ci batte in quanto a coerenza linguistica. Non resta, dunque, che aspettare un’illuminazione da parte del ministro Kyenge che comunque un mezzo miracolo l’ha già fatto: farci seriamente rimpiangere la signora Prestigiacomo.

 

 

 

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