La dittatura della mediocrità
È vero, sto seguendo questa campagna elettorale con scarso entusiasmo. Tra i vari motivi di natura politica, tra cui spicca senz’altro l’assenza di una proposta credibile da parte del mondo liberale, ve n’è uno di carattere più profondo e strutturale. Noto, infatti, che vent’anni di berlusconismo non hanno cambiato la sostanza di una competizione elettorale basata sempre meno sulla base di argomentazioni, e sempre più su quello che gli anglosassoni chiamano gut feeling. Il livello della discussione è quello di un Bar dello Sport di periferia: dai “cessi allargati per i grillini” (così Berlusconi) alla lira padana di Salvini passando per la retorica in stile obamiano del neopresidente Renzi, idee e progetti di un qualche spessore sembrano pressoché assenti dalla scena.
Non è strano. Un recente e autorevole studio internazionale ha infatti confermato ciò che sostenevamo da tempi non sospetti: quasi due italiani su tre non dispongono dei minimi strumenti di intelligenza critica per operare scelte su una base razionale. In quest’ecatombe culturale, il politico di professione naviga in acque sicure, giacché non ha bisogno di illustrare idee (anche disponendone non sarebbero comprese) ma solo di risultare simpatico o almeno vagamente credibile.
C’è da ringraziare che la democrazia rappresentativa non abbia invaso altri campi: pensate se si dovessero nominare i primari degli ospedali per alzata di mano dei pazienti riuniti nel bar, o i direttori dei lavori per le grandi opere con un sondaggio in autogrill.
Certo, non si capisce bene perché quando in gioco c’è il destino e il benessere di 60 milioni di persone siamo così poco interessati alla qualità del processo di selezione della dirigenza: per andare a pulire le deiezioni di un malato in una corsia di ospedale oggi bisogna avere diploma e laurea di primo livello e superare un concorso piuttosto difficile, per fare io presidente del consiglio basta essere simpatici. Neanche una commissione interministeriale degli anni ’80 avrebbe potuto concepire un meccanismo di tale intrinseca e perversa stupidità.
Naturalmente basterebbe elevare il livello degli elettori per trasformarli da una massa di bambini in balia del prestigiatore più bravo a una giuria competente, ma non abbiamo né il tempo né la capacità (senza parlare, ovviamente, della volontà politica) di operare un simile miracolo, per cui tanto vale rassegnarsi. Se non si cambiano in maniera drastica le architetture dello stato con una vigorosa iniezione di meritocrazia attraverso la partecipazione della società civile su base cooptativa, continueremo ad essere ostaggio di una irragionevole maggioranza per i secoli a venire.
Le riforme istituzionali promosse dal governo Renzi appaiono, infatti, insufficienti e orientate in larga parte al consolidamento del consenso più che a un vero rinnovamento dello Stato, mentre quasi la metà degli under 30, che dovrebbe rappresentare il futuro della nostra nazione, sembra totalmente incapace di percepire la complessità della realtà e preferisce le vie brevi del grillismo compulsivo.
Una cosa è certa: Non è dal piccolo e mai così eterogeneo polo liberale che verrà una dirompente alternativa a questa dittatura della mediocrità. Non dall’intelligenza senza carisma di Tabacci, non dai deliri di onnipotenza di Boldrin, né dall’opacità dei resti di Scelta Civica.
Abbiamo bisogno di un progetto nuovo che sappia rinnovare le fondamenta dello stato e, al contempo, parlare ai cuori delle persone. Con il rapporto tra debito e PIL al 135% la nostra sopravvivenza sarà legata alla capacità di inventarne uno.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.