Francesco e Kirill
La scorsa settimana, mentre sui mercati infuriava una delle più tremende tempeste speculative degli ultimi anni, tra il petrolio sceso sotto i $30 e la (presunta) crisi di Deutsche Bank, a Cuba si svolgeva una storica prova di disgelo: papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill si incontravano per licenziare il testo di una lunga dichiarazione comune.
Si tratta di un avvenimento del tutto eccezionale: i rapporti tra Roma e Mosca, già costellati di reciproci anatemi nel corso dell’ultimo burrascoso millennio, erano migliorati sotto il pontificato di Paolo VI, per poi tuttavia deteriorarsi quando Giovanni Paolo II dissennatamente promosse un’attiva politica di uniatismo in Ucraina occidentale, col risultato di riportare indietro le lancette del dialogo ecumenico di almeno duecento anni.
Questo incontro, reso difficile anche dalle vaste correnti conservatrici nello stesso Patriarcato di Mosca, è dunque stato possibile solo grazie ad una disponibilità di Francesco, resa manifesta sia dalla cornice “neutrale” dell’incontro stesso (Cuba), sia – ancor di più – dalla volontà ad avvicinarsi ad alcune posizioni ortodosse, come emerge dal testo poi pubblicato.
I media di tutto il mondo hanno sorprendentemente ignorato questo incontro, e quando ho letto il testo della dichiarazione (che era stata sicuramente preparata pesando ogni parola in un processo che sarà durato molte settimane) ho capito immediatamente il perché.
Francesco e Kirill rappresentano la stragrande maggioranza dei cristiani del pianeta, e la totalità di quelli che si riconoscono in una compagine ecclesiale coesa e che esiste da duemila anni senza soluzione di continuità. Le parole di questi due signori, in altri termini, possono influenzare potenzialmente un paio di miliardi di persone e, come sappiamo, a volte le parole possono essere macigni.
I primi dieci paragrafi riassumono così il motivo di questo incontro:
La nostra coscienza cristiana e la nostra responsabilità pastorale non ci autorizzano a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune.
Il primo tema, prevedibilmente, è la guerra in Siria e la persecuzione di cristiani. Ma non è questo il motivo del silenzio dei media, visto che ambo le parti avevano già singolarmente espresso più volte ciò che si legge nella dichiarazione. I punti “caldi” sono ben altri:
Partiamo con l’attacco frontale all’ateismo militante e politicizzato:
…siamo preoccupati per la situazione in tanti paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse. In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica.
Questo spiega l’ostilità di stati – come la Francia – che fanno della laicità o di un certo multiculturalismo un tratto essenziale e distintivo della loro stessa esistenza, come emerge ancor più chiaramente dal paragrafo successivo:
Il processo di integrazione europea, iniziato dopo secoli di sanguinosi conflitti, è stato accolto da molti con speranza, come una garanzia di pace e di sicurezza. Tuttavia, invitiamo a rimanere vigili contro un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose. Pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane. Chiediamo ai cristiani dell’Europa orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in modo che l’Europa conservi la sua anima formata da duemila anni di tradizione cristiana.
Veniamo ora al piatto forte. Abbiamo visto come in Italia la Chiesa abbia sostanzialmente snobbato iniziative un po’ naif come il “familiy day”. La strategia comunicativa di Francesco, del resto, è troppo sottile per cadere in questo genere di tranelli. Per sferrare il suo attacco, il papa ha deciso di guadagnare prima una posizione di forza. E quale occasione migliore che una dichiarazione congiunta di due persone che rappresentano duemila anni di Cristianesimo? Ed ecco che la bomba è servita:
La famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli.
La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.
Ora è il mondo anglosassone (USA, GB) sotto la lente dei due ingombranti oratori. Che non hanno finito: si passa a chi (Paesi bassi, Cina, in parte USA) è più disinvolto su altri fronti. Leggiamo:
Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10). Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia fa sì che le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale. Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei principi morali cristiani, basati sul rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita, secondo il disegno del Creatore.
Il piatto è servito. Il Cristianesimo, parlando dopo mille anni con una sola voce, lancia un j’accuse a praticamente tutto il mondo secolarizzato, e queste parole sono pietre da cui ognuno, a suo modo, si sente colpito. E, visto che è difficile attaccare il “comunista” Bergoglio quando parla insieme al “fascista” Kirill (e viceversa), meglio tacere.
Il papa, d’altronde, ha pagato un prezzo, per ottenere questo risultato, che si riassume in queste tre righe:
Oggi è chiaro che il metodo dell’“uniatismo” del passato, inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità.
Una sconfessione pubblica del metodo par exellence della Chiesa Cattolica in terra russofona, che potrebbe essere gravido di conseguenze (positive) per il futuro. Un colpo da maestro per la diplomazia pontificia e un sussulto di orgoglio per quella Chiesa che, finalmente, torna a fare quello per cui è chiamata a esistere: testimoniare un modello di vita e una visione del mondo sostanzialmente “altra” rispetto ad un contesto ormai secolarizzato.
Il silenzio dei media testimonia che quando questi due signori si mettono insieme sono in grado di fare paura.
Polidori
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