Referendum: un ragionamento Formista
Scrivo queste poche righe a illustrare la posizione di Forma, e la mia, sul referendum. Premetto che Forma non è un partito (e tantomeno una cosa che si possa identificare come “destra” o “sinistra”), ma è semplicemente un modo di pensare basato sul principio di astrazione. Siamo infatti spesso troppo distratti dal contesto per riflettere sulla sostanza delle cose. Il mio sarà quindi un esercizio di ragionamento più che una indicazione di voto.
1. Cominciamo col dire che un referendum è una scelta secca tra due opzioni. Nella fattispecie il prossimo quesito non è neanche lontanamente una riforma organica del Parlamento, ma solo un’opzione binaria sul numero dei parlamentari. Sappiamo bene (ci abbiamo fatto anche due libri sopra) che sarebbe necessaria una riforma organica per determinare un vero cambiamento, ma sfortunatamente il quesito referendario non è “volete ridurre il numero dei parlamentari oppure una riforma organica?”. In tale ottica votare NO perché vogliamo una riforma organica è semplicemente una risposta ad una domanda che nessuno ha fatto. Se, viceversa, un numero minore di parlamentari fa parte di una possibile futura riforma organica, meglio prendere intanto quello che c’è piuttosto che rimanere alla situazione attuale. Ognuno farà la propria valutazione su questo.
2. Un altro piccolo esercizio di astrazione riguarda i soggetti. Da più parti sento persone esprimersi per il SI o per il NO esplicitamente per rafforzare o indebolire questa o quella parte politica. La Brexit evidentemente non ha insegnato nulla. Trasformare il referendum in un voto politico rispetto ai promotori della mozione è illogico, oltre che incostituzionale. La scelta deve essere fatta sul merito, indipendentemente da chi è il soggetto promotore. Detto altrimenti, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno.
3. A margine, penso che mettere in mano un pezzo della Costituzione (bella o brutta che sia) al gut feeling di una popolazione i cui livelli di scolarizzazione e intelligenza critica sono bassi in maniera allarmante sia un errore grave. Chi non ha una ben fondata idea di quali possano essere le conseguenze della propria scelta dovrebbe in coscienza evitare di esprimersi, cosa che mediamente non accadrà per quanto detto al punto 2.
4. Finite le proposizioni di metodo, che attengono al pensiero Formista, entriamo in quelle di merito in cui penso di esprimere un parere personale. Gli argomenti del SI e del NO sono ben noti, ma alcuni si dimostrano speciosi. Che un parlamento di 600 componenti costi meno di uno di 1000 è un dato oggettivo. Più che il trattamento economico di ogni MP pesano le voci collaterali, (rimborsi, missioni, staff, uffici). Il risparmio su ogni legislatura è difficile da stimare, ma si aggira sui 400 milioni a legislatura per il solo costo secco degli MP, senza tutto ciò che ci gira intorno. Una goccia nell’oceano di una spesa pubblica da più di 800 miliardi l’anno. L’argomento economico sembra poco dirimente, anche se non totalmente irrilevante.
5. Poco si parla dell’effetto concreto del taglio sull’efficienza del Parlamento. Tutti sono concordi nell’affermare che riducendone il numero i parlamentari sarebbero più “controllabili”, laddove per i promotori questo sarebbe da leggersi come una più stretta aderenza al vincolo di mandato, mentre per gli oppositori a logiche non meglio specificate (lobbying? Dirigenze di partito?). Di sicuro un parlamentare peserà di più, ma questo non necessariamente è un male, specie in un momento storico che dura da ormai un ventennio in cui il Parlamento è in larga parte spogliato del suo ruolo di legislatore a favore del governo, di cui supinamente vota i maxi-testi già blindati nelle segreterie di partito. Immagino che un parlamentare più pesante sia anche qualitativamente superiore, e meno facilmente “acquistabile” (leggasi voce “scilipotismo”), ma è difficile dimostrare questi effetti in un senso o nell’altro, sicché credo sia più prudente sospendere il giudizio su questo.
6. Questione rappresentatività. Se l’eletto fosse espressione dei territori e non di una lista bloccata fatta dalle segreterie di partito, sarebbe un organo rappresentativo. Dal momento che senza proporzionale e preferenze non può esserlo, la rappresentatività effettiva di 600 MP è la medesima di quella data da 1000, 100 o anche 10. Chi si straccia le vesti per il “vulnus” alla rappresentatività mi dovrebbe dire se attualmente si sente rappresentato dall’MP che ha mandato in Parlamento (chiaramente la domanda è retorica). Chi usa questo argomento probabilmente vive sul pianeta Utopia. Neppure vale la pena di rispondere a quelli de “la deriva autoritaria”, dal momento che il partito di maggioranza in questo momento è comandato da due personaggi opachi e non eletti, per non parlare dell’uso spensierato di una piattaforma di voto online la cui trasparenza si misura in micron. D’altronde, se il pericolo democratico fosse legato al numero di parlamentari, il paese considerato la culla della democrazia non avrebbe 100 senatori per una popolazione di circa 330 milioni di persone.
7. C’è un ulteriore argomento di cui poco si parla, ed è quello della irreformabilità delle istituzioni. Il nostro Luca Benegiamo ha fatto un capitolo magistrale del nostro ultimo libro ad elencare nel dettaglio i tentativi di riforme istituzionali, quasi sempre falliti miseramente, dell’ultimo quarto di secolo. Per taluni le istituzioni non si cambiano perché abbiamo “la costituzione più bella del mondo”, per altri “perché ci vuole ben altro”. Sembra che per qualche paradosso l’insoddisfazione per il malfunzionamento delle istituzioni vada di pari passo con la mancanza di realismo del volerle riformare seppure con le armi spuntate di cui disponiamo. Siccome la “riforma”, piccola o grande che sia, non è perfetta, meglio non toccare nulla. Così ci troviamo puntualmente con un sistema bicamerale perfetto che era già vecchio negli anni ’50. Un altro NO a questa ben misera modifica sarebbe probabilmente un’ulteriore conferma dell’immobilismo che paralizza questo paese.
Fatte queste minime premesse, la mia personale conclusione è che siamo di fronte ad una scelta secca tra un sistema che non funziona e che ha una pletora di parlamentari sostanzialmente inutili in quanto non rappresentativi, e un sistema che non funzionerà con un numero inferiore di rappresentanti altrettanto farlocchi. Una scelta di cui probabilmente avrei fatto a meno, ma che non può che sottostare alla ferrea logica Okhamiana: frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, sicché semmai andrò a votare, voterò SI senza entusiasmo alcuno.
Polidori
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