La cultura dell’epifenomeno

Leggere sui giornali di questi giorni i commenti su papa Francesco, mi ha fatto balzare in mente un’interessante analogia tra il suo predecessore Benedetto XVI e il prof.Monti. Entrambi, oltre a condividere la condizione di dimissionario (difficile accettare il concetto di “dimissionato” per un papa, ma questa è un’altra storia), sono apparentemente accomunati  da un’altra sorte non meno trista.

Il papa Benedetto XVI è stato visto dai più come un signore un po’ retrogrado e autoritario, ostile alle “novità” del Concilio Vaticano II, sostanzialmente anti-ecumenico, amante di bizzarri costumi del XVII secolo, in una parola una rappresentazione del vecchio di cui la Chiesa proprio non aveva bisogno per rinnovare la sua immagine.

Il prof.Monti, viceversa, è stato visto perlopiù come un tecnocrate senza cuore, legato da una parte ai cd. “poteri forti” della finanza e dall’altro alla compiacenza delle politiche germanocentriche della signora Merkel, la cui unica opera degna di essere ricordata in fondo è stata quella tassare (ancora) i pover’uomini. In una parola Monti «è» l’IMU.

Personalmente ritengo che tutte le precedenti affermazioni siano false. Non solo tra i colleghi storici della Chiesa ma anche semplicemente tra le persone autenticamente informate sull’azione effettiva di papa Ratzinger, non conosco nessuno che non gli riconosca meriti rilevanti. Azioni condotte in sordina, senza alcun clamore mediatico, e perlopiù tese a risolvere problemi enormi creatisi nel pontificato del (beato) predecessore: disastro dei conti, abusi di ogni tipo nell’applicazione del Concilio (leggete questo libro dell’amico Riccardo Pane), ambiguità e doppiezze nel dialogo ecumenico,  scandali sessuali (anche questi, sotto il pontificato di GPII). L’azione di Benedetto XVI, condotta con quella mitezza che a volte sconfina nell’ingenuità,  è stata sistematica preda di ogni assalto mediatico (discorso che ho già affrontato qui) e oggetto di distorsioni, incomprensioni, talora aperto dileggio, fino a intendere l’ultimo, eccezionale, atto del papa non come un grande gesto di responsabilità ma come la “volontà di scendere dalla croce” (sic!).

Il governo Monti ha avuto senz’altro luci e ombre, ma senza dubbio si è occupato di molti problemi. Ha ottenuto la liquidità immediata di cui c’era bisogno nell’unico modo possibile di una tassa odiosa, poi si è messo a lavorare sui nodi strutturali, con un tasso di produttività elevatissimo (116 ddl in 13 mesi di attività, di cui circa la metà ha i regolamenti attuativi ancora in itinere, sicché se ne vedranno pienamente gli effetti solo tra qualche mese), e risultati consistenti. La riforma del sistema previdenziale e i provvedimenti sulla razionalizzazione della spesa hanno determinato un balzo di credibilità italiana in sede europea. Ciò è stato determinante nell’indirizzare le politiche BCE a dotarsi di strumenti anti-spread (contro il parere tedesco!) con il risultato di concretizzare un drastico abbassamento dei differenziali non solo in Italia, ma anche negli altri paesi in difficoltà, con un risparmio per le nostre casse di circa 50 mld su base annua per il rifinanziamento del debito, cioè più di 12 volte il gettito IMU sulla prima casa.

La grande maggioranza della popolazione non ha capito sostanzialmente nulla di tutto questo, complice un’informazione che pur di vendere il suo prodotto lo adegua alla pancia dei suoi potenziali clienti indipendentemente dalla realtà oggettiva. Una buona parte di questi, peraltro, si caratterizza dalla totale incapacità di afferrare la complessità, unita all’insana convinzione di saperla lunga grazie alla frequentazione del semidio-Rete e dei guru della cd. “informazione libera”. Il risultato è che spesso la prima cosa che costoro percepiscono sia anche l’ultima.

Beninteso, è del tutto normale che il fenomeno (lett. “ciò che appare”) costituisca l’unica interfaccia sensibile attraverso cui si costruisce la conoscenza, ma qui siamo di fronte a due aspetti ulteriori:

  1. La selezione della porzione più superficiale del fenomeno, quella di norma più facilmente accessibile. Ad esempio: leggere il titolo di un blog che critica una certa legge piuttosto che leggere il testo di quella legge.
  2. Il rifiuto semi-cosciente di interpretare la somma dei fenomeni, inferendo la sostanza di un oggetto esclusivamente dal fenomeno più superficiale, talora identificando tale fenomeno con la sostanza stessa.

A me appare del tutto evidente che questo rifiuto della complessità (di cui ho già parlato qui) sia parte di un più vasto problema che si potrebbe definire “cultura dell’epifenomeno“, una strana somma di declino della facoltà critica e sempre minore disponibilità di strumenti cognitivi adeguati alla complessità che, uniti all’individualismo delle culture occidentali, si trasforma in una miscela tossica dagli esiti imprevedibili. Il grillismo è solo una delle possibili manifestazioni della cultura dell’epifenomeno che, mutatis mutandis, mi pare osservabile  anche in ambiti completamente diversi, ad esempio nelle psico-sette come Scientology o in alcuni gruppi religiosi come i Testimoni di Geova (ne parlo in questo libro).

Se il rifiuto della complessità elevato a sistema è innanzitutto un problema culturale, esso diventa rilevante per FORMA, dal momento che non si dà democrazia senza verità (anche di questo si è già detto, qui): il confronto di idee false, infatti, non potrà che costituire una democrazia distorta: vera nella forma, falsa nella sostanza. L’architettura istituzionale italiana, d’altronde, non garantisce in alcun modo contro la cultura dell’epifenomeno, sicché se, ad esempio, avessimo una maggioranza di parlamentari perfettamente convinta della teoria delle scie chimiche, dovremmo legittimamente aspettarci un’attività legislativa dettata da questa comprensione della realtà.

Ho la sensazione che stiamo andando in questa direzione.

 

 

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