Ancien Régime
Ieri pomeriggio, bloccato da un devastante torcicollo che mi ha costretto all’immobilità e che ancora non dà tregua, ho passato un po’ di tempo su Facebook. Ne è nata una discussione, a tratti vivace, in cui si è discusso di Rivoluzione francese, Vandea e Ancien Régime.
«A me l’ancien régime piace», è stato lo statement che ha scatenato l’inferno, neanche avessi detto che mi piace Pol Pot o Stalin. Certo, l’affermazione va spiegata, a partire dal fatto che si tratta di una definizione vaga e negativa (etimologicamente, per negazione di un “nuovo regime” di stampo democratico) dentro cui in pratica possono confluire grossomodo tutte le monarchie occidentali d’età moderna. Ma è proprio vero, la monarchia assoluta presenta molti aspetti positivi, per quanto strano possa apparire.
In termini astratti, infatti, è evidente che la migliore forma dello stato è quella in cui una sola persona prende le decisioni giuste. Mutuando il lessico degli economisti: efficacia ed efficienza. Il re, l’imperatore o il papa sono al di sopra della legge, non hanno bisogno di grandi assemblee preoccupate dei rispettivi bacini elettorali, di burocrati irremovibili, di caste giudiziarie in grado di opporre il veto ad ogni refolo d’aria, di sindacati, lobbies e corporazioni di ogni tipo pronte a osteggiare qualsiasi cambiamento dello status quo. Il monarca di questa gente se ne infischia, e se qualcuno protesta, lo si manda ad metalla, e ben gli sta. Naturalmente le cose vanno bene se il despota in questione si chiama Traiano, Luigi IX o Leopoldo II di Toscana, molto meno bene se si chiamano Josip Broz o Augusto Pinochet.
L’aspetto interessante della questione ha in realtà a che fare con la percezione, esito naturale della storiografia ideologizzata del secolo ventesimo, secondo cui principio monarchico sua ipsa natura sia irriducibile a quello democratico allo stesso modo in cui non si può piantare un bulbo di cipolla in una colata di calcestruzzo. Ma questo è falso (non per la cipolla, ahimé).
Infatti, dati gli elementi fondanti dell’istituto democratico:
l’elemento monarchico può trovare cittadinanza in diversi luoghi dell’architettura dello stato. Naturalmente non sto parlando di un re, né tantomeno di un soggetto che sia superiore alla legge, ma semplicemente dell’idea che una singola persona possa esercitare una consistente fetta di autorità all’interno di un istituto autenticamente democratico nella sostanza. Del resto non è una novità: l’elemento monarchico sopravvive, ad esempio, nel cd. «presidenzialismo forte» molto più che nelle attuali monarchie costituzionali (se togliamo, forse, il Principato di Andorra).
Si può fare, tuttavia, un ulteriore passo in avanti sull’idea di innesto del principio monarchico su quello democratico: è il caso in cui due persone si debbano dividere un certo numero di oggetti contenuti in un cassetto. Il modo più equo (se ognuno pensa esclusivamente al bene privato, id est la condizione abituale della nostra democrazia) è che un soggetto faccia le parti e l’altro scelga. Trasponiamo quest’idea nel processo legislativo: un gruppo prepara delle opzioni e un singolo soggetto sceglie tra queste opzioni. Se, poi, il gruppo è di natura tecnica (principio di competenza) e il singolo di natura politica (principio di rappresentanza) abbiamo integrato elementi tecnocratici, monarchici, democratici in un unico work-flow.
Naturalmente il discorso è ben più complesso di quanto si possa sintetizzare in un blog, ma il succo risiede nel fatto che osservare la storia e ricercarne i princìpi da una prospettiva distaccata («l’uomo è l’unico animale in grado di mettersi a distanza dalle cose» dice il metafisico Paul Gilbert) può produrre una visione del tutto nuova della realtà e aprire la porta a una vera rivoluzione delle idee.
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