Finanziamento ai partiti: due dubbi e una profezia.

Già in passato avevamo espresso più di una perplessità sull’ondivago atteggiamento dei partiti e della politica in generale a rimettere mano alla questione del finanziamento pubblico (link QUI). Ieri, dopo la battuta di arresto del percorso parlamentare di approvazione della nuova legge (che rischiava così di slittare di un altro anno se non approvata dal senato entro dicembre), il governo ha agito per decreto sulla base del testo già licenziato alla Camera.

Il disegno di legge presenta, tuttavia, almeno un paio di punti sui quali vale la pena spendere una parola.

Innanzitutto, esso sembra carente sul piano di un principio fondamentale, quello della reciprocità, concetto che  ben conosce chi, ad esempio, ogni tre mesi è obbligato a versare l’IVA su un pagamento che ha fatturato ma non incassato. In questo caso, infatti, lo Stato obbliga il contribuente a farsi sostituto d’imposta e assicura a se stesso mezzi coercitivi di grande efficacia affinché il contribuente adempia all’obbligo fiscale. Il contribuente, viceversa, non dispone di alcun mezzo per assicurare che il proprio cliente paghi il dovuto, dal momento che la giustizia civile ha ancora tempi (e dunque costi) fuori da ogni grazia. In questo caso non esiste reciprocità tra i mezzi di cui lo stato fornisce se stesso per la riscossione dell’IVA e quelli messi a disposizione del contribuente per la riscossione dei crediti. Per ciò che attiene al DDL (ora decreto) sul finanziamento pubblico, il meccanismo è replicato: non si capisce infatti per quale motivo un pesante aggravio fiscale (come il recente aumento IVA o quello delle addizionali comunali) abbia efficacia immediata  – quando non retroattiva! – e l’abolizione del finanziamento pubblico debba andare a regime, nella migliore delle ipotesi, nel 2017, argomento ancor più cogente se si considera che il referendum di 20 (venti!) anni fa avrebbe dovuto abolire già allora il finanziamento pubblico.

Il secondo punto riguarda un aspetto tecnico della legge. Il testo attuale prevede infatti che tra le fonti di finanziamento alternative a quelle attuali trovi posto la destinazione del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (art.12), con un tetto massimo di 45 mln a regime. Ora, poiché il livello di diffusa e trasversale disaffezione alla politica ha raggiunto soglie considerevoli, viene da chiedersi quanti saranno i contribuenti che dal 2014 in poi vorranno destinare questo due per mille ai partiti: tolti forse i CAF sindacali, già peraltro impegnati a pilotare queste opzioni nelle dichiarazioni dei loro clienti a finanziare a loro stessi, non sembra di vedere all’orizzonte schiere di contribuenti pronte a elargire altri denari alla politica, e c’è da dubitare che tale considerazione non sia stata fatta nel palazzo. In ragione di ciò e del fatto che la storia dell’ultimo ventennio su questo tema dovrebbe aver insegnato qualcosa, c’è da immaginare che questa legge non riuscirà a soddisfare le esigenze di spesa dei partiti, a meno che dal capitolo delle erogazioni liberali (art.11) non esca molto più del previsto. Dunque delle due l’una: o i partiti procederanno ad una drastica riduzione dei loro costi e, di conseguenza, delle loro ramificazioni sul territorio in termini di sedi e operatività, oppure troveranno un escamotage con il quale superare l’ostacolo.

Ecco allora una piccola profezia, sempre ammesso che questo testo venga convertito in legge senza ulteriori modifiche. C’è da aspettarsi che, non appena i partiti cominceranno ad andare in ipossia, condizione che si verificherà verosimilmente alla fine del 2015, spunterà una modifica di poche lettere nell’art.12. Basterà, infatti, che l’inoptato (la somma relativa alla quota di contribuenti che non compilerà il campo del due per mille nella propria dichiarazione dei redditi) venga destinato non più all’erario (come nel testo attuale) ma ai partiti in base alle quote delle ultime elezioni politiche che si tornerà più o meno allo status quo ante 2014, come in un perfetto ciclo vichiano.

La storia dei prossimi mesi ci dirà se questi dubbi sono fondati.

 

Valerio Polidori

 

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